Le recensioni dei cortometraggi della 21a edizione del Reggio Film Festival, a cura dei ragazzi del Liceo Artistico “Gaetano Chierici” di Reggio Emilia.

Il titolo del film che ho scelto da recensire è Being My Mom: un cortometraggio di genere drammatico, di durata 12 minuti, diretto da Jasmine Trinca.

La regista Jasmine Trinca è nata nel 1981 a Roma e ha realizzato diversi film tra i quali, per la maggior parte, cortometraggi.

Le attrici, invece, sono due: Alba Rohrwacher, che interpreta la madre e Maayane Conti che interpreta la figlia. Sono state tutte e due, a mio parere, molto brave nei loro ruoli: si nota il grande impegno che hanno impiegato per interpretare gli eventuali personaggi.

La storia del cortometraggio parla di una tematica molto importante: l’amore tra genitori e figli che non si separerà mai neanche in circostanze difficili.

il cortometraggio inizia con la madre che si è appena svegliata ed è proprio da come si comporta nei primi minuti che si inizia a capire come lei abbia dei problemi psicologici e che sta in verità soffrendo interiormente. La figlia invece è lì, vicino a lei, che la osserva e capisce la situazione in cui si ritrova sua madre, prendendosi cura di lei.

Poi il cortometraggio prosegue con la madre che inizia a fare un lungo viaggio a piedi con sua figlia e nel mentre tiene una valigia di grandi dimensioni. Attraverso questa avventura condivisa tra di loro si noterà quanto amore ci sia tra madre e figlia.

Il messaggio che vuole comunicare la regista con questo suo contenuto è che l’amore tra genitori e figli è unico e anche se dovesse esserci un problema così tanto grave in famiglia, in ogni modo si cerca di risolverlo andando avanti e affrontandolo insieme.

Nel linguaggio cinematografico di questo cortometraggio mi è piaciuto tantissimo il ritmo di narrazione: non ci sono tanti dialoghi ma si riescono a capire tanti aspetti in base ai gesti e ai comportamenti dei personaggi. Questo porta a rendere il tutto ancora più poetico e originale.

La sceneggiatura del film è ben strutturata: si nota quanto i dialoghi, la trama e i personaggi siano stati accurati e non ci sono buchi di trama o altri problemi perché è stato tutto realizzato perfettamente dall’inizio fino alla fine del cortometraggio.

Riguardo alla colonna sonora la trovo molto interessante ed efficace. Ho apprezzato molto il riadattamento della canzone di Massimo Ranieri “Se Bruciasse La Città”, perché secondo me ha un forte supporto alle immagini ed è una canzone che è molto collegata al significato del cortometraggio in sé.

Questo mi è piaciuto molto, perché l’ho trovato interessante e originale nel modo in cui esprime i concetti in una maniera del tutto poetica e complessa da capire subito nel momento, ma se si è attenti ad ogni dettaglio inizia ad esserci un senso a tutto ciò che si è visto. I personaggi mi hanno suscitato diversi sentimenti: la madre in particolare mi ha provare dolore, sofferenza e rabbia, invece la figlia sensibilità, ingenuità e coraggio.

Ho apprezzato entrambi i personaggi allo stesso modo, non ne ho uno preferito, per me sono tutti e due molto importanti e fanno capire tante cose, infatti l’intesa tra i due è qualcosa di emozionante.

Mi sono piaciute le interpretazioni delle due attrici, ma quella che mi è piaciuta di più è di Alba Rohrwacher nei panni della madre, che ha interpretato un ruolo per niente facile e del tutto particolare, tanto che anche lo spettatore che guarda il cortometraggio riesce a sentire le emozioni e le sofferenze che questo personaggio ha subito.

Una scena che mi è piaciuta molto è quando la figlia salva la madre che cerca di togliersi la vita, per me questa scena fa capire quanto la figlia tenga alla madre, cercando di prendersene cura e quanto amore abbiano i due personaggi l’uno per l’altro. Un’altra scena che mi ha colpito molto è quando la madre riempie la bocca con l’acqua della fontana e tenendola in bocca la condivide con sua figlia, proprio come fanno anche gli uccelli: questo gesto ha come significato il prendersi cura dei propri figli e non far loro mancare nulla anche quando si è in condizioni difficili.

Concordo pienamente con il messaggio del film e sono molto soddisfatto del risultato di questo contenuto che è stato realizzato con un grande impegno e una grande qualità.

Cristian Pucci, 3 E

In una calda giornata estiva a Roma, madre e figlia camminano senza sosta e senza meta, portando con loro una grossa valigia.
Le due interagiscono in modo quasi giocoso, scambiando i propri ruoli naturali, finché si manifesta davanti a loro un segno che dimostra il loro amore.
Il corto ha uno stile pulito, la città è completamente vuota e non ci sono dialoghi, solo i rumori dell’ambiente circostante. Il film è girato in formato 4:3 e questo glidona originalità e particolarità. Fin da subito si capisce che c’è un “problema” con il comportamento dei due personaggi: l’impressione è che vi sia uno scambio di ruoli di madre e figlia. La madre sembra avere spesso comportamenti infantili, la bimba invece sembra che le sia di supporto, tanto da farle evitare azioni che avrebbero conseguenze gravi. Il regista vuole raccontare il suo rapporto con la madre e il messaggio di questo corto sta infatti nel rapporto tra le due, che non possono fare a meno dell’altra, si completano a vicenda. Il comportamento insolito della madre potrebbe anche implicare che quest’ultima ha un disturbo, una malattia, forse la regista è rimasta segnata da qualcosa di simile nella sua infanzia a causa di comportamenti non adeguati di un genitore, e ha voluto riproporre ciò in maniera particolare. Il ritmo della narrazione è lento ma godibile, concede l’opportunità di concentrarsi sui luoghi e sulle espressioni degli attori. La luce è forte e calda e, insieme al suono delle cicale, fa immaginare una tipica giornata estiva nel centro italia.
Questo corto è quello che mi ha colpito di più per lo stile, la fotografia e il fatto che sia silenzioso, in senso positivo, mi da la possibilità di apprezzarlo meglio. Per riflettere meglio sul significato ho dovuto riguardarlo. Rispetto agli altri corti il messaggio è meno esplicito, più nascosto, e strettamente legato all’esperienza del regista. Bravi gli attori, anche se in alcune scene si notano delle carenze di credibilità, ma considerando che tutto il corto ha un gusto surreale, non dà troppo fastidio. Mi sono piaciute le interpretazioni da bimba dell’attrice più grande, i suoi movimenti, le sue espressioni facciali, tutto con molta naturevolezza.

Edoardo Cioce, 4G

Being my mom è un cortometraggio dalla durata più o meno di 12 minuti, diretto dalla regista Jasmine Trinca nel 2021 in Italia.
La storia apre uno spioncino privato sulla maternità. Alba Rohrwacher e Maayane Conti interpretano una madre e una figlia il cui rapporto si basa su silenzi, fatica e ruoli di accudimento spesso invertiti. La figlia segue e osserva la madre portare una pesante valigia lungo le salite ripide di una Roma deserta, in un cammino che sembra non avere meta. Due donne, una adulta e l’altra no, che nella fatica del quotidiano, si rincorrono e si sfuggono, scambiandosi i compiti, alternando momenti
di gioco e complicità ad altri di lontananza e distacco, in assoluto silenzio. Lungo il cammino, la figlia segue le orme della madre, cercando di rimediare ai suoi errori e ai suoi momenti immaturi e rilassati. Arriva per tutti, infatti, quel momento in cui un bambino passa dall’essere curato a diventare il curatore, e con essa arriva la consapevolezza che uno era, e forse a volte è ancora, il bambino irrispettoso. Nello stesso momento, allora, lo sguardo cambia: i genitori passano da inconfondibili eroi a vulnerabili, stanchi e i loro figli fonte di tribolazioni, che ora offrono sicurezza e
comprensione. Le parole non servono più, perché non bastano, quindi si arriva ad esprimersi con i piccoli gesti, dai lunghi abbracci alle attenzioni trascurate e al calore che così spesso tendiamo ad evitare.
E’ questo che racconta il cortometraggio di Jasmine Trinca dedicato alla madre, in maniera molto intima e dolce, quasi più poetica che narrativa, cercando di raccontare il loro rapporto tra gesti in cui sembrano evitarsi per poi arrivare ad un gesto inaspettato d’amore.
Le inquadrature e la fotografia del cortometraggio sono prodotte da Daria D’Antonio in maniera eccellente e curata. Infatti le scene sono tutte realizzate in modo geometrico e ordinato, con dei colori che tendono al pastello. Il linguaggio cinematografico richiama, per lo più, un contesto antico, con l’utilizzo del quattro terzi, che ci rimanda a qualcosa di personale. Una grande attenzione va anche al giochi di luci che si crea con le ombreggiature degli alberi o comunque degli edifici.
La sceneggiatura, scritta da Jasmine Trinca e Francesca Manieri, è un passo fondamentale per riuscire a realizzare un montaggio così accurato da parte di Chiara Vullo. Oltretutto, il modo in cui sono state scritte le due attrici è molto accurato per il ruolo da loro dato. Nei loro volti, infatti, vengono espresse molte emozioni in maniera dettagliata e concisa, facendo capire a pieno, a colui che vede il cortometraggio, ciò che madre e figlia provano in determinati momenti.
Durante il filmato non viene mai utilizzata una colonna sonora precisa, ma solo dei suoni d’ambiente. L’unico momento nel quale sentiamo una canzone, nonché ‘Se bruciasse la città’ di Massimo Ranieri, è quando avviene il primo gesto d’amore tra le due. Un modo per dire anche a livello sonoro che qualunque cosa succeda l’una c’è sempre per l’altra e così viceversa.
In conclusione si può affermare che tutto ciò che Jasmine Trinca voleva esprimere con questo corto viene dimostrato nel migliore dei modi. Il senso di malinconia per il passato, di tristezza nel vedere inizialmente il rapporto turbolento tra madre e figlia ma anche quasi simpatico nel notare i gesti schiocchi che la madre compie e soprattutto il senso di serenità, dolcezza e felicità nel momento in cui madre e figlia si riuniscono in un rapporto di amore, vengono espressi in modo eccellente
solamente da espressioni facciali e immagini, mai dialoghi. In particolare dalla recitazione della bambina, che nonostante la piccola età dimostra abilità teatrali molto efficaci. Per lo più inizialmente il cortometraggio sembra una storiella come tante, se non fosse per quel gesto di amore che rende tutto meraviglioso e magico, lasciando un grosso segno sullo spettatore.

Sara Ibatici, 5G

Ficciones è un cortometraggio spagnolo del 2021 sceneggiato e diretto da Teo Planell Martine e Alejandra Kikidis Romàn, che sono anche i due interpreti principali.

Si tratta di un corto leggero e romantico della durata di 15 minuti.

I protagonisti sono due giovani ragazzi: Alex e Marla. Mentre Alex sta lavorando come commesso nella videoteca dei suoi genitori, si presenta nel negozio Marla, una ragazza stravagante che prende il suo soprannome dalla protagonista del film Fight Club e da cui il giovane rimane immediatamente affascinato. La ragazza noleggia tre DVD e gli racconta di essersi appena trasferita in città. Da qui ha inizio un’ambigua storia d’amore, che lo spettatore percepisce come tale pur non essendoci quasi alcun riferimento esplicito a un interesse di tipo romantico tra i due. Il cortometraggio ha un finale aperto e interpretabile.

La sceneggiatura è interamente basata sul dialogo tra lui e lei, che scandisce il ritmo di tutto il corto. Trovo che questo sia il punto di forza del cortometraggio: non vi sono eclatanti colpi di scena o dinamiche intricate, al contrario è una storia di cui colpisce la semplicità, eppure i dialoghi sono riusciti tanto da non risultare mai noiosi o lenti. Lo spettatore segue l’amichevole chiacchierata tra i due protagonisti sentendosi in essa coinvolto e senza che se ne renda conto i temi diventano gradualmente più personali e delicati: la solitudine, l’amore, i legami. Credo che il tema principale fosse la sintonia istantanea tra Alex e Marla nonostante le apparenti differenze tra di loro; sintonia che rapidamente si trasforma in un confronto intimo, una messa a nudo, un gesto di fiducia, forse immotivato.

Le inquadrature sono interessanti, alcune decisamente creative e originali. Essendo un cortometraggio che si basa interamente sul dialogo, c’è una forte presenza di primi piani. Le luci e i colori caldi creano un ambiente di introspezione e confronto. Ho trovato brillanti le interpretazioni degli attori.

Nel complesso è un cortometraggio di facile comprensione, scorrevole ma avvincente.

A me personalmente ha appassionato per tutta la sua durata: sicuramente quello romantico è un genere che prediligo, ma ho apprezzato molto anche i numerosi riferimenti e tributi al cinema, come la citazione al film Taxi Driver. Mi ha trasmesso familiarità e tenerezza, senz’altro il cortometraggio che tra tutti ho preferito.

Nicole Anastasi, 3E

Questo cortometraggio ha come protagonista Alex, un adolescente che lavora nella videoteca del padre e che incontra inaspettatamente una giovane ragazza che entra per noleggiare 3 film, ma che finisce per creare un legame con il ragazzo.
Il cortometraggio mostra un legame genuino e di complicità tra i due coetanei che mi ha colpito particolarmente. Gli attori sono gli stessi registi e sceneggiatori del corto: Teo Planell Martine nel ruolo di Alex e Alejandra Kikidis Romàn nel ruolo di Fàtima. Il corto vuole farci riflettere sul rapporto sano di un amore adolescenziale e sulla compatibilità tra due persone con gli stessi interessi attraverso i continui omaggi all’arte del cinema con scene di film importanti come “Fight Club” o “Taxi Driver”.
Le inquadrature sono efficaci con riprese statiche e geometriche che riprendono i volti e i movimenti dei personaggi all’interno del negozio nel momento giusto.
I colori tenui e sbiaditi sono coerenti con il significato del cortometraggio e con il suo contesto.
I dialoghi sono a mio parere uno dei punti di forza perché riescono a farci immedesimare nei personaggi e nelle emozioni di due coetanei che si conoscono e si piacciono.
Il tipo di colonna sonora presente nelle scene di flashback raccontate da Alex è coerente con il periodo in cui è ambientato, e, mantenuta sempre in sottofondo l’ho trovata piacevole così come gli effetti sonori.
Il cortometraggio mi è piaciuto molto, l’ho votato perché l’ho trovato molto funzionale nel complesso. Ho davvero apprezzato il tributo che è stato fatto al cinema e mi sono particolarmente rivista nella passione che Alex mette nel raccontare il suo interesse per i film e per la sua videoteca
di cui spiega che nonostante non guadagni come dovrebbe, è un posto del cuore per lui.
Ho trovato anche molta dolcezza nel modo in cui i due adolescenti sono subito rimasti colpiti l’uno dall’altro ed abbiano voluto conoscersi meglio. L’ultima scena dedicata al film “Taxi Driver” è probabilmente quella che mi ha colpita di più.
Lisa Juna Favali, 4E

Trophée è un cortometraggio scritto e diretto da Sandra Coppola risalente al 2022 e prodotto in Canada.

Si tratta di un cortometraggio drammatico della durata di 15 minuti.

I protagonisti sono Dominique interpretata da Anaëlle Cordon, Jean padre di Dominique interpretato da Jules Philip e Sandrine Bisson madre di Dominique.

Dominique vuole diventare la migliore giocatrice di hockey del suo campionato, stessa cosa vorrebbe suo padre forse anche più di lei. Questo la spinge a ricorrere a misure drastiche per rivendicare ciò che è suo.

Il cortometraggio è ambientato nel mondo dell’hockey femminile e affronta temi importanti come quelli dell’abuso psicologico. La regista ha condotto diversi cortometraggi, spot pubblicitari e serie tv.

Un cortometraggio della stessa regista è A Very Long Weekend che è stato vincitore del Norman McLaren Prize al Montreal World Film Festival del 2007.

Lo scopo di questo cortometraggio è quello di sensibilizzare temi significativi come quello degli abusi sui minori nel mondo sportivo e quello dell’inclusione.

La scelta di far interpretare il ruolo di protagonista a una ragazza è importante perché molto spesso negli sport come l’hockey o il calcio associamo ad essi una figura maschile.

Per enfatizzare il messaggio che vuole mandare, la regista realizza delle inquadrature a mezzo busto, a figura intera e a campi totali. Le inquadrature sono selezionate con cura in modo che lo spettatore metta subito in primo piano quelli che sono i protagonisti. In questo cortometraggio si nota una buona padronanza della macchina da presa. Oltre a ciò la luce segue la narrazione quando è più serena, infatti ci sono colori più accesi mentre quando la narrazione diventa più cupa vediamo colori scuri. La sceneggiatura è coerente con la trama e, anche se in alcune scene i dialoghi non sono presenti, si capisce cosa sta per accadere grazie ai raccordi sonori e alla colonna musicale che accompagnano perfettamente ogni scena.

In conclusione si può dire che è un cortometraggio vincente che, con la sua drammaticità, riesce a far empatizzare lo spettatore con i personaggi e porta a riflettere su temi importanti.

Raffaella Murri, 3E

Trofeo è un cortometraggio Canadese del 2021 e diretto da Sandra Coppola. Gli interpreti sono Anaëlle Cordon, Jules Philip e Sandrine Bisson. Dominique, una ragazza amante dell’hockey, ha un grande scopo da raggiungere: ovvero quello di diventare la miglior giocatrice di hockey del suo campionato, ma questo obiettivo verrà monopolizzato da suo padre, diventando un traguardo opprimente. Ritengo che il regista abbia voluto comunicare un messaggio che riguarda le dinamiche familiari, che assimila il rapporto tra figlia e genitore, un padre narcisista che pensa solo a sé stesso, una figlia frustrata e oppressa che sta alle sue regole. Sebbene anch’ella voglia raggiungere i suoi obbiettivi, cerca soprattutto di rendere fiero suo padre, dimostrando così come il genitore trascura le esigenze emotive della figlia e pertanto alcuni comportamente negativi possono emergere. Le inquadrature e i movimenti di macchina sono lineari, dinamici e scorrevoli, i colori presenti ma spenti, e gli effetti di luce mostrano una naturalezza autentica che rendono le scene ordinarie e pesanti, contribuendo a ciò anche la psicologia dei personaggi e il significato dei loro comportamenti. La sceneggiatura è importante perché ci fa capire come comunicano e come si esprimono i personaggi, soprattutto il rapporto tra la figlia e il padre. Inoltre gli attori hanno un’interpretazione buona riuscendo a far suscitare agli spettatori una sorta di immedesimazione emotiva. Non vi sono molte colonne sonore poiché è presente molto dialogo, i suoni appartengono principalmente alla vita quotidiana dei personaggi, la poca musica presente è cupa e arretrata. Questo cortometraggio lo trovo avvincente, la storia è monotona ma riflessiva, principalmente per il finale, mi è sembrato molto convincente e ritengo pienamente che sia la parte più interessante e importante, ci fa riflettere su quanto il comportamento di una persona oppressa possa arrivare al limite compiendo decisioni impulsive e immature. I personaggi mi hanno suscitato angoscia e frustrazione, soprattutto la protagonista, il personaggio che mi ha colpito di più, poiché fa riflettere sulle sue decisioni e azioni, mentre invece il padre è l’unico personaggio che mi ha fatto pena in quanto i suoi comportamenti lo rendono insicuro, insicurezze che nasconde cercando di essere il migliore. Per chi ama queste categorie di cortometraggi consiglio caldamente di guardarlo, è gradevole sia visivamente sia per il messaggio che vuole trasmettere.

Alessia Peluso, 4G

Il cortometraggio parla di una ragazza che si sente sotto pressione a causa di suo padre, perché lui vuole che lei diventi la migliore giocatrice di hockey. Ma cosa succede quando un genitore non si accontenta mai delle vittorie e non apprezza l’impegno del proprio figlio? La regista, Sandra Coppola, ha evidentemente voluto affrontare il problema della violenza domestica. Spesso gli adolescenti di diversa età sono praticamente obbligati a combattere con una situazione del genere, che purtroppo, è molto comune. I genitori pretendono troppo dai propri figli, scordandosi completamente della fatica che si prova nel raggiungere qualcosa.
Gli aspetti tecnici di Trophy comunicano perfettamente l’atmosfera che la regista ha voluto creare. I colori spenti e scuri, la presenza di poca luce o la sua quasi totale assenza, le inquadrature e i movimenti di macchina che seguono le azioni dei personaggi… Tutto questo aiuta l’osservatore nel vedere le espressioni degli attori, sentire le loro emozioni e, praticamente, assorbirle. In quindici minuti ci viene raccontata tutta la storia facendoci vedere tutte le scene fondamentali, senza elementi superflui o inutili. I dialoghi sono ben strutturati, riescono ad aiutarci a percepire la tensione che c’è tra la figlia e il padre e a capire il rapporto di amore, ma anche odio, che la ragazza ha con la madre.
Anche se tratta una tematica che potrebbe sembrare banale, il cortometraggio mi è piaciuto, soprattutto per la scena in cui la ragazza cerca di difendere la madre dal padre facendolo cadere, dopo che quest’ultimo l’ha sgridata e colpita. Questa scena mi ha emozionata molto, ma mi ha anche fatto capire la fragilità delle persone violente.
Penso che molti adolescenti possano riconoscersi nel personaggio della ragazza particolarmente in questa parte del cortometraggio. La regista, attraverso il suo lavoro, è riuscita a trasmettermi una sensazione di empatia per la ragazza e la madre, e una sensazione di odio e rabbia verso il padre. Secondo me, era proprio questo l’obiettivo di Sandra ed è stata brava nel provare a raggiungerlo. Ovviamente, il merito è anche degli attori che sono stati molto professionali nell’interpretare i loro personaggi, hanno svolto un gran lavoro usando il giusto tono di voce, le giuste espressioni facciali, senza i quali tutti gli altri aspetti tecnici non sarebbero mai risultati così efficaci. Non ho delle preferenze particolari a livello di interpretazione, poiché, per me, il loro impegno è equilibrato, tutti loro hanno fatto del loro meglio e ci sono riusciti.
Il finale del cortometraggio crea una specie di suspence: non ci fa scoprire come finisce veramente la storia, ma costringe l’osservatore a provare compassione verso la protagonista, attivando la sua immaginazione e creando speranze in un lieto fine per lei. Io, personalmente, ho apprezzato Trophy e il messaggio che ha voluto comunicare.

Aleksandra Grek, 4E

La fine di Lady Brently è un cortometraggio inglese di 6 minuti del 2021,diretto e montato dal regista Sam Barton. I personaggi sono interpretati da Maddie Rice, Kirsty Mann e Harry Kershaw.

Si tratta di un genere comico ambientato nell’Inghilterra vittoriana che tratta di una ragazza indipendente la quale dovrà convincere la propria sorella, appena rimasta vedova, a non cadere in forte tristezza a causa della morte del marito.

Il regista con questo cortometraggio si pone l’obiettivo di trasmettere agli spettatori una visione della donna indipendente ed autonoma.

Decide di usare un genere comico per alleggerire la trama altrimenti un po’ pesante e canonizzata.

Per fare ciò usa molte battute e un linguaggio simpatico che sdrammatizzi.

Il ritmo della narrazione è armonioso e non sovrasta la storia, anche se risulta un po’ veloce.

Le riprese si adattano bene al tema e non sono disconnesse.

La luce è chiara in modo da enfatizzare il fatto che sia una commedia; probabilmente se fosse stato un dramma serio sarebbe stata scura.

I dialoghi sono coerenti alla trama anche se talvolta risultano un po’ pesanti.

La colonna sonora invece è originale ed azzeccata per il tipo di genere. Non sovrasta troppo la storia e le immagini.

Il cortometraggio suscita nello spettatore un senso di leggera confusione, data probabilmente dal fatto che i dialoghi sono tanti e veloci. Ha un bel finale che non lascia domande.

Trovo che i personaggi siano ben interpretati; la sorella vedova ha reso bene la posizione di dipendenza verso il marito ormai morto, così come la sorella emancipata ha rappresentato una figura forte e sicura.

Il messaggio che voleva lasciare il regista è ben chiaro e palesato; non lascia dubbi, né chiavi di lettura differenti.

Valeria Vecchi, 3E

Inghilterra, epoca vittoriana: Louise riceve dalla sorella Josephine la notizia della morte del marito Brently in un incidente ferroviario; sotto shock, tenta di gettarsi dalla finestra. Josephine, donna dalle ampie vedute, moderne per quell’epoca, cerca di calmare la sorella argomentando con incredibile prontezza e sicurezza tutti i vantaggi dell’essere vedova. Superando lo sconcerto iniziale, Louise inizia a realizzare a ritmo incalzante quali e quanti possano essere allettanti e trasgressivi i
vantaggi offerti dalla sua condizione. Questo suo stato di grazia viene bruscamente interrotto da un inaspettato colpo di scena: istantaneamente i suoi sogni di emancipazione vanno in frantumi. Tutta la situazione è arricchita da dialoghi umoristici punteggiati da espressioni a volte grottesche. In alcuni tratti sembra di ritrovarsi calati in una delle novelle del Boccaccio.
Con estrema naturalezza e capacità il regista riesce a delineare, nei dialoghi tra le due, la condizione della donna nell’epoca vittoriana; nella respectability di questo periodo in cui si vuole solo apparire, la donna è una sorta di decorazione della società, l’essere istruita è ritenuto contro natura, visto che il suo compito principale è quello di allevare figli ed essere subordinata al marito, condizione non troppo distante comunque da realtà ancora presenti oggi.
Efficace e persuasivo il discorso di Josephine nel convincere la sorella di come potrebbe conquistare la propria indipendenza liberandosi dalla subordinazione al marito, e che il poter decidere della propria vita superando gli ostacoli, non sia in fondo più difficile dell’ aggirare una semplice pozzanghera.
Il regista, con mossa astuta, pare ispirarsi al Boccaccio: la storia, con quel suo stile tragicomico, volta a denunciare e allo stesso tempo a intrattenere, pare scaturita infatti dall’ “onesta brigata” del Decameron, con la sua finalità consolatoria e dilettevole, anche se i fatti narrati risalgono ad un’epoca più recente. Esattamente come nel 300’, in epoca vittoriana la donna è esclusa dall’educazione, confinata nella sfera domestica. Il regista dunque si propone di dare dignità alla donna, restituendole autonomia e capacità di esternare i propri desideri e attitudini. Lo fa
perfettamente con il personaggio di Josephine, che in un attimo rivoluziona il concetto di amore. E qui, anche se in un contesto diverso, c’è la voglia di rendere la donna libera di scegliere, non più all’ombra o come riflesso dell’uomo, ma protagonista che vive e soffre le proprie vicende.
L’ambientazione in cui si svolge la scena è un tipico salotto stile vittoriano dai colori tenui, arricchito da un comodo sofà, su cui Louise accenna vari svenimenti. Ottima la scelta dei colori dei costumi, decisamente mirata e ponderata:le tonalità dei vestiti delle due sorelle sono decisamente opposti e raccontano perfettamente la loro storia e stile di vita. L’emancipazione di Josephine si intuisce dalla tonalità rosa acceso di cui è vestita, che esprime tutta la sua femminilità; al contrario Louise indossa un colore verde scuro, anonimo, indifferente come se non volesse dare valore alla persona che lo veste, riallacciandosi perfettamente alla sua condizione di ignorante sottomessa.
Le inquadrature si adattano pienamente ai dialoghi e si alternano in maniera sincrona. Perfetti i primi piani dove viene valorizzato minuziosamente ogni cambio espressivo, soprattutto in Louise.
La colonna sonora di Stephen Warbeck, compositore britannico di colonne sonore cinematografiche (tra cui Shakespeare in love con cui ha vinto il premio Oscar) è felicemente adattata al ritmo tragicomico della vicenda.
Il ritmo dei dialoghi è incalzante e deciso, Josephine elenca quasi senza fiato le opportunità che si prospettano ad una donna senza marito, mettendo tuttavia come vincolo per l’accesso alla nuova realtà la cultura, e prima di tutto l’imparare a leggere. Ben presto si instaura una specie di dialogo basato su domande e risposte sempre più veloci, quasi a voler raggiungere da parte di Louise traguardi sempre più alti. Questo ritmo genera ad un certo punto un salto temporale in avanti, in cui vengono portate ad esempio donne come Marie Curie o ancora più attuali destabilizzatrici della solida monarchia inglese.
Inaspettata quasi come un colpo di scena, una risposta improvvisa ridimensiona il ritmo narrativo: Josephine mette uno stop alla sorella quando, presa dall’entusiasmo, crede di poter diventare il presidente degli Stati Uniti d’America.
Il personaggio cardine è Josephine, donna controcorrente che mantiene un esemplare autocontrollo anche davanti a momenti estremamente critici; riesce sempre a dare una spiegazione agli avvenimenti e a trovarne il lato positivo. Si potrebbe definire come una sorta di coscienza pronta ad intervenire al momento giusto. Il personaggio è ben interpretato e curato, il suo punto di forza è la mimica facciale in perfetta sintonia con la situazione in cui si trova a vivere.
Le scene che colpiscono maggiormente sono all’inizio e alla fine, queste infatti portano a galla verità nascoste, in cui le maschere di scena vengono finalmente abbassate e tutto diventa paradossale.

Francesca Barbieri, 4E

“Lady Brently” è stato il corto che mi ha colpito di più tra
tutti i corti del Reggio film festival. È stato montato e
diretto da Sam Baron e scritto da Dipak Patel e Kirsty Mann.
Quest’ultima ha anche recitato assieme a Maddie Rice e Harry
Kershaw.
È un cortometraggio prodotto nel regno unito (UK), nel 2021 e
ha una durata di 6 minuti.
Vediamo una commedia su una donna emancipata nell’Inghilterra
vittoriana, che dopo aver comunicato alla sorella che suo
marito è morto in un incidente ferroviario, deve convincerla
che la vita vale la pena di essere vissuta anche se vedova.
“Lady Brently” nasconde al suo interno un messaggio
sull’importanza della vita e sui diritti delle donne e viene
raccontato con dialoghi semplici, divertenti e non
impegnativi. Il regista infatti, attraverso le due sorelle,
riporta l’idea che ogni donna sposata e non, a quell’epoca,
avrebbe dovuto avere il diritto di lavorare, avere figli
liberamente, ma anche di essere nubile, senza essere giudicata
come reietta. Le donne, infatti, non godevano di parità di
trattamento con gli uomini, nella famiglia e nel lavoro, ma
venivano segregate in casa. Fortunatamente oggi molte donne
hanno avuto il coraggio di ribellarsi, ma in alcuni paesi, la
situazione non è cambiata.
Questo corto quindi viene argomentato con occhi moderni ed è,
in sintesi, un richiesta di evoluzione di pensiero.
L’ambientazione riporta alla cultura inglese degli anni 800 e
900, grazie anche all’arredamento, i costumi, il trucco e le
acconciature.
I colori hanno un tono neutro e tendono ad essere caldi e
chiari, le luci invece sono luminose e danno un senso di
calma.
All’inizio vediamo inquadrature e movimenti di macchina poco
mossi e molto stabili, che creano un ambiente neutro e poco
felice, ma con il susseguirsi del cambio d’umore delle
sorelle, ci sono molti più stacchi che ricavano, anche grazie
alle espressioni facciali delle attrici, un ambiente più
sereno e gioioso.
I dialoghi sono sintetici, diretti e coerenti, infatti
esprimono sempre qualcosa che è pertinente alla storia. Ogni
frase aggiunge qualche indizio importante per il filo del
racconto, in modo da tenere attento e concentrato lo
spettatore.
Le due sorelle hanno caratteri molto diversi: una è più
controllata, matura e intelligente, l’altra invece è
impulsiva, influenzabile e anche catastrofica.
La colonna sonora è di Stephen Warbeck ed è strutturata in
modo che abbia un nesso logico con le immagini che si
susseguono, infatti all’inizio è delicata, lenta e anche un
po’ cupa, invece, mentre la storia si sviluppa e nella parte
finale, è buffa, divertente, spiritosa e allegra.
La scena che mi ha fatto ridere maggiormente è la parte
finale, quando il marito torna vivo a casa e la moglie, dopo
aver sognato ad occhi aperti la sua vita senza di lui, si
butta giù dalla finestra.
È stato quindi un corto molto divertente e simpatico che ti fa
venire voglia di rivederlo, inoltre essendo così intuitivo e
semplice, nei suoi argomenti importanti, funziona molto bene.
Chiara Rozzi, 4E

Ci troviamo all’interno dell’epoca vittoriana,dove Louise, la protagonista, riceve una spiacevole notizia da sua sorella Josephine, la quale le racconta che suo marito è stato partecipe di un incidente ferroviario.
Louise incredula e scioccata, inizia a pensare al peggio, tentando di togliersi addirittura la vita.
Come potrà mai una donna vivere senza marito? Chi le comprerà un mazzo di fiori? Con chi avrà un bambino? Una serie di quesiti dati dalla disperazione che iniziano a tormentarla.
Ed è qui che il regista e gli sceneggiatori entrano in ballo con il loro pensiero.
Dando la parola a Josephine che farà aprire gli occhi a sua sorella.
Le spiegherà che lei non ha bisogno di un uomo per eccellere, per avere una carriera, degli svaghi;che può essere qualsiasi cosa lei desideri.
Che un giorno avrà le possibilità di realizzare tutto ciò che crede.
Sicuramente hanno utilizzato la maniera più convincente per esprimere vari messaggi, tramite una chiave ironica,che non risulta mai ripetitiva, a tratti emozionante, con un finale totalmente inaspettato.
Per quanto riguarda il comparto tecnico abbiamo una eccellente fotografia, con colori brillanti e riprese semplici che danno modo allo spettatore di cogliere ancor meglio il significato.
Consiglio la visione a tutti, questo cortometraggio dà la possibilità in modo diretto di cogliere argomenti che tutt’oggi fanno parte della nostra quotidianità, di far capire quanto dolore e sofferenza, seppur ironicamente, hanno passato.
Francesca Pia Accardo, 4G

Lady Brently’s End è un cortometraggio tragicomico che racconta di una donna
borghese nell’Inghilterra vittoriana, che appena rimasta vedova, viene convinta dalla
sorella che la vita vale la pena di essere vissuta e può rivelarsi migliore anche senza
un marito accanto.
Il tema che il regista vuole esaltare è l’emancipazione della donna e la sua posizione
nella società. Il fatto che si siano trattate tematiche attuali utilizzando l’artificio di
un’ambientazione del passato, è un tratto geniale, interessante e divertente del
corto.
Le inquadrature semplici e il velo di comicità che si stende su tutto il film regalano
allo spettatore un senso di leggerezza e uno spettacolo piacevole, ma che allo
stesso tempo porta a riflettere.
La scena si gira tutta in unico spazio, una piccola stanza con una poltroncina al
centro dove siedono le due sorelle e una finestra sullo sfondo: in questo caso c’è il
rischio che il film diventi noioso, ma il regista ha pensato bene come strutturare la
scenetta per renderla in un certo senso dinamica.
Le inquadrature sfruttano efficacemente lo spazio, non si ripetono mai se non
appositamente quella iniziale e quella finale per riprendere le due situazioni
identiche. La recitazione e la gestualità volutamente esagerate delle attrici
protagoniste sono eccezionali e sono il cuore del corto.
La messa a fuoco, che rende sfocato il personaggio in secondo piano, mette il
protagonista di fronte allo spettatore che si concentra sul dialogo, dimenticandosi del
luogo in cui si trova.
Nel complesso il corto è un’escalation emotiva di libertà che ti porta addirittura a
tifare per la vedova. L’inizio è singolare, sembra quasi recitato male, poi dal dialogo
si capisce che c’è una chiave comica. Questo è fresco, attuale, scorrevole ed è il
protagonista del film. Il ritmo sempre più veloce ha il suo culmine con l’effetto a
sorpresa finale. Dopodiché si ritorna alla situazione iniziale che si conclude in modo
esilarante. Personalmente ho apprezzato questo cortometraggio sia per il contenuto
sia per la creatività e la semplicità.

Rebecca Mellone, 5G

Il cortometraggio Cuckoo è un corto prodotto da Team Tonger, nel 2019 in Olanda, registrato da Jorgen Scholtens che si è occupato della sceneggiatura insieme a Pepijn Van Weeren.

La durata è all’incirca di sette minuti, costituiti da scene intense con azioni accompagnate da sensazioni e stati d’animo differenti ma allo stesso tempo coinvolgenti.

E’ una breve vicenda in cui si trova l’attore Frank Lammers nelle vesti di protagonista come custode del cuckoo, accompagnato dagli attori Hetty Heiting interprete dell’anziana signora malata e infine dalla voce come radiofonico di Joost Prinsen.

E’ presente un uomo che sembra avere una vita tranquilla, non ha molti contatti all’esterno della sua abitazione e vive con il suo amato gatto Ramses, unica compagnia che possiede.

Lui vive all’interno di un orologio cucù e la sua vita è monotona, ogni giorno l’uomo deve svolgere un’unica identica azione ripetutamente entro un intervallo di tempo ben definito.

Tutto questo permette all’anziana signora di prendere regolarmente le medicine che la tengono in vita in modo autonomo.

Un giorno accade un fatto improvviso che rompe l’abitudine di tutti i giorni, sconvolgendo completamente la vita e il futuro dell’uomo ma anche quello dell’anziana signora coinvolta inconsapevolmente in un finale inaspettato.

Il cortometraggio è molto interessante e cattura l’attenzione ai dettagli delle scene e alle azioni significative che vengono rappresentate.

Il regista è riuscito a dare una propria interpretazione e a farla comprendere agli spettatori molto chiaramente.

Il messaggio che il regista ha voluto comunicare è quello di prestare attenzione alle piccole cose. Egli illustra quindi, per quanto un’azione possa essere svolta in modo monotono e semplice, come sia necessaria soltanto una piccola e insignificante distrazione, a complicarla e a renderla ingestibile.

La fotografia è gestita da Richard Spierings.

Inoltre si nota che le inquadrature sono molto adatte a rappresentare le intenzioni del regista e a trasmettere le emozioni che quest’ultimo voleva catturare mettendo in luce soltanto i particolari più importanti e necessari.

La luce e l’ambientazione rendono l’atmosfera in cui si trovano i personaggi, magica e speciale che li avvolge in una sorta di scena privata e riservata.

Ritengo che la colonna sonora presente nel cortometraggio sia fondamentale nella composizione di quest’ultimo, perché rende efficace l’atmosfera e fornisce una motivazione alle azioni accompagnando alla perfezione i colpi di scena.

Lo si può considerare adatto ad una visione aperta a tutti ovvero ad un ampio pubblico: anche questa caratteristica è molto importante per definirlo un corto alquanto convincente.

Susanna Marmiroli, 3E

Il cortometraggio che ho visto con la mia classe del Liceo Artistico Chierici è stato realizzato da Jorgen Scholtens nel 2019, in Netherlands, ed ha la durata di 8 minuti.
I protagonisti sono un signore che vive in un cucù con il suo gatto; ha un compito molto importante, cioè quello di far ricordare alla signora, che siede sempre sulla sua poltrona, di prendere le sue pastiglie.
Il cortometraggio è abbastanza veloce e di facile comprensione, penso proprio che per questo motivo sia uno dei migliori tra gli altri.
Penso che con quest’opera, il regista volesse comunicare un evento molto frequente nella quotidianità di oggi, cioè che ci affidiamo troppo alla tecnologia e che scegliamo sempre la via più facile e veloce per fare le cose.
Penso anche che sia molto efficace questo video per trasmettere e far capire questi concetti grazie alla cronologia e coerenza chiara degli avvenimenti e anche se all’inizio non si comprende bene il significato del corto, il finale, con un colpo di scena, ce lo fa comprendere a pieno.
Questo cortometraggio mi è piaciuto molto, l’ho trovato molto efficace, originale, ben strutturato e mi ha particolarmente colpito soprattutto nel rendere il signore nel cucù molto più piccolo rispetto alla signora sulla poltrona. Mi ha trasmesso molta simpatia e strappato delle risate grazie alla comicità dei personaggi, soprattutto del signore, che credo sia il mio personaggio preferito della
storia. Il finale del video secondo me è perfetto perché oltre a essere di grande effetto, ti fa
anche riflettere su argomenti della quotidianità, il passaggio da un cucù a una sveglia elettrica, da una cosa molto più complessa a una molto più semplice, mi fa riflettere che le persone scelgono la via più semplice in tutto e che credono che sia più efficace, ma spesso non è così.

Asia Intonti, 4E

Cucù si presenta apparentemente come un film di stampo comico, ma al suo interno si celano importanti messaggi metaforici.
L’utilizzo di un linguaggio ironico è appositamente atto a far immedesimare lo spettatore nell”omino dell’orologio, che ci sembra felice e spensierato, ma in realtà il suo è solo un tentativo di auto illusione e distaccamento da quella che è la sua reale ed inevitabile condizione di vita. Al monotono ma fondamentale ruolo che egli deve svolgere, si accosta la voglia di svago e appartenenza. Il raggiungimento di questi permette al protagonista di essere felice, ma la felicità porta con sé anche un più elevato margine di errore. Perciò chi ha interesse che il compito del personaggio avvenga nel miglior modo possibile, decide di limitare la possibilità di errore, limitando anche la possibilità di essere felice.
Credo che il regista con ciò paragoni l’omino del cucù a ciascuno di noi, e il cambiamento dal vecchio orologio a cucù al nuovo digitale come il salto di epoche e abitudini, che punta sempre di più alla perfezione e alla disumanizzazione, tralasciando i sentimenti e gli istinti naturali.
Il messaggio del filmato risulta facile alla comprensione anche per merito delle scelte registiche. La sceneggiatura, il ritmo e l’ordine cronologico con cui si è voluto costruirla aiuta ad entrare poco a poco nel vivo della vicenda, aggiungendo un tassello per volta che permette di ricostruire le sensazioni del protagonista e il suo stato. Inoltre le scelte di luce e colore più o meno calda, i movimenti di macchina e il taglio delle inquadrature suggeriscono i sentimenti del personaggio, e contribuiscono a dare un armonioso senso di composizione visiva che stuzzica l’occhio dello spettatore, invogliandolo a proseguire nel racconto. Anche suoni e musica sono posti in modo da accompagnare il racconto in modo sintetico ma efficace.
Personalmente ho trovato questo cortometraggio geniale, sia dal punto di vista grafico, sia dal punto di vista creativo. Inoltre mi ha portato a riflettere molto sul tema del cambiamento, della ricerca della propria felicità e della relazione con la società.

Federica Benevelli, 5G

Olivia, un’aspirante guru dell’amore di Youtube, registra un video tutorial in cui mostra come funziona “Turbo Love”, un sito che ci permette di creare la nostra relazione perfetta e
trasportarla nella vita reale con il massimo controllo su di essa.
Il cortometraggio in questione è veramente particolare, in quanto utilizza sia l’animazione
digitale sia la tecnica del live action, ossia l’impiego di attori in carne e ossa.
Il messaggio che il regista ha voluto darci attraverso questo corto è proprio il fatto che
cercare di avere maggiore controllo in una relazione porta confusione e infelicità da parte di
entrambi.
La lezione che ci vuole dare è che ognuno deve essere libero in una relazione e non
ritrovarsi bloccato in una gabbia da cui non può uscire se non rompendo un rapporto che
potrebbe invece essere bello.
Personalmente, sono dell’idea che il linguaggio cinematografico sia molto efficace, e
nonostante non ci siano mai movimenti di camera riesce a stimolare alcune importanti
riflessioni.
La camera è posizionata frontalmente alla protagonista e ciò ci permette di vedere il suo
volto che cambia espressione.
Per quanto riguarda l’immagine invece i colori sono molto accesi, il che è perfetto dato che
ricalca alla perfezione le caratteristiche visive dei tutorial su youtube.
La sceneggiatura del corto è piuttosto banale, ma risulta comunque efficace perché riesce a
far coesistere molto bene le parti animate con quelle in live action.
Trovo che questo cortometraggio sia molto interessante, mi ha subito colpito per le sue
animazioni che sono un mix tra confusione e divertimento.
L’inizio del corto non mi ha convinto particolarmente, ma più si va avanti più questo diventa
interessante, non solo per le animazioni dallo stile semplice ma anche per l’argomento che
tratta e il modo in cui lo propone.
Mi piace soprattutto il finale in cui “Turbo Love” si sbizzarrisce e mostra il caos più assoluto.
Il corto non tende a nascondere il messaggio ma lo dice direttamente in un modo piuttosto
simpatico.
“Turbo Love” non sembra dare particolare importanza al suo lato musicale ma al lato visivo e
infatti non vi sono momenti musicali memorabili.
Salerno Alessandro, 4E

Loop, un cortometraggio animato del regista e sceneggiatore Pablo Polledri, girato nel 2021 in Spagna, dura otto minuti. Tratto dai film Incordia e Corp, parla di una società dove ogni individuo ripete costantemente la stessa azione, ma i due protagonisti interromperanno il loop statogli imposto per crearne uno loro.
Il regista tratta in maggior parte dei suoi corti, come Corp o El Candidato, temi di sfondo sociale con ironia e uno stile efficace. Nonostante il messaggio di questo corto non sia ben specificato, nemmeno dal regista stesso, si può intuire che esso inviti lo spettatore a distaccarsi dalla monotonia di tutti i giorni, spesso impostagli dalla società.
Trovo che l’utilizzo di pochi colori, come grigi neri e rossi, la ripetizione delle immagini sempre più veloci che ritraggono i vari loop, e la brusca interruzione di queste ultime, siano molto efficaci e di impatto. L’aggiunta di scene divertenti, dove i poliziotti rincorrono i due protagonisti attraverso i vari loop, rende la narrazione significativa ma leggera.
Trovo che i protagonisti siano coerenti con il messaggio di cui sono portatori. Per scappare dal loro loop e vivere secondo le loro regole, sono pronti a scappare e a correre attraverso palazzi, con la polizia dei loop alle calcagna. Anche questi ultimi molto coerenti con il loro personaggio; sincronizzati e determinati a non interrompere il loop degli altri soggetti.
I suoni ripetitivi prodotti dai personaggi dei loop accelerano il loro susseguirsi fino a mischiarsi, formando così una colonna sonora perfetta, la quale sottolinea la frenesia della civiltà che quasi mette ansia.
Il corto mi è piaciuto molto, non solo a livello audiovisivo, ma principalmente per il messaggio, e per la narrazione attraverso la quale è stato trasmesso. Geniale l’idea di collegare l’inizio e la fine per ricreare un solo grande loop, del quale, se mandato a ripetizione, non si capisce dove abbia inizio. Nutro grande stima e simpatia nei confronti dei due protagonisti, che hanno sufficiente coraggio per andare contro le regole. Nonostante alla fine si ritrovino in un altro loop, trovo che comunque il messaggio rimanga chiaro, “vivi come vuoi tu, crea il tuo loop”. Anche se si ritrovano in una continua ripetizione, è bello sapere che è un loop pieno di amore e non monotono.
Ottimo corto, il mio preferito tra quelli mostratici; d’impatto e leggero, ma con un messaggio importante. Consiglio vivamente la visione.

Emma Saccardi, 4G

Loop è un cortometraggio davvero molto interessante sotto molti punti di vista. Esso fin dall’inizio ti colpisce con la propria estetica minimale ma altrettanto essenziale, dato che ad ogni semplice movimento corrisponde un’azione ben precisa che ripetendosi, per l’appunto in loop, va a formare delle vere e proprie scene complete che stupiscono per la loro semplicità visiva e concettuale. L’aspetto fenomenale del comparto sonoro e delle musiche è che i vari suoni, replicando, si mescolano perfettamente a quella che è la traccia sonora del cortometraggio.
I colori sono, a mio parere, molto ben studiati. Il rosso, colore che ci riporta al pericolo e al disordine, è per l’appunto il colore principale delle scene dove il protagonista cerca di scappare dai “poliziotti” della città. Il grigio invece è molto presente in tutto lo short, probabilmente usato per rappresentare quella monotonia che, oltre ad essere presente nelle scene, è presente nel colore. Le
persone vengono colorate di grigio per sottolineare quello stato d’angoscia che fa provare questa povera città, dove ogni persona, ogni giorno, è sempre uguale.
Il cortometraggio farà sì che tutte le persone che lo guardano diano una propria interpretazione del finale, finale che a mio parere è aperto a pareri personali.
Io ancora non sono sicuro di quello che accadrà!
Manuel Scaltriti, 4G

Confusione, ilarità e allegria sono queste le prime sensazioni che si provano guardando Kellys, un
cortometraggio Spagnolo che racchiude in sé una storia che va ben oltre i brevi due minuti e 40 di
video.
La trama vede come protagoniste Kelly e Mari Carmen. Due migliori amiche durante un turno di
lavoro come cameriere in un hotel, chiacchierano tranquillamente delle loro vite e del loro tempo
passato a lavorare insieme, quando a un certo punto durante la conversazione Kelly;
rivela che nel 2008 le avevano diagnosticato il cancro e il marito di tutta risposta l’aveva portata a
Cordoba. Così l’amica si ferma e la guarda impietrita.
Ma quello che l’ha sconvolta non è la malattia dell’amica ma che non le ha raccontato di quel
viaggio a Cordoba, la scena sfuma e viene allegramente interrotta dalla canzone Què Bueno di
Cheti e Chuky. Il cortometraggio si conclude subito dopo con una scena “extra” dove le due
amiche sono in tram e hanno uno scambio di battute dal finale tragicomico come quello di prima.
Il punto di forza del film non è tanto la sceneggiatura, poiché i personaggi non so ben indagati e
mancano un pò si spessore psicologico in più le musiche e l’ambientazione rimangono molto
anonime, quanto il tema di cui tratta: infatti il video usa un tono ironico per parlare della Morte,
decidendo con ilarità di farla passare in secondo piano per non dare Lle generazioni di oggi sono
figlie di taboo e di retaggi culturali che si portano ci portiamo dietro sin dal dopoguerra, dove non
si poteva parlare di morte poiché era maleducazione e bisognava far finta di non vedere.
Al giorno d’oggi non è cambiato nulla e la gente non parla di morte perché ne è spaventate e
perchè la società e la cultura continua ancora a dirgli che non è in grado di affrontarla, perciò ho
apprezzato molto la narrazione fantasiosa del corto dove si parla di morte con “leggerezza” poiché
la verità nonostante sia un tema difficile e molto duro bisogna parlarne perché la consapevolezza
che la morte fa parte della vita ci rende liberi, ci rende consapevoli e ci permette di vivere la nostra
vita con molta più passione.

Milo Spaggiari, 5G