A Partire da Novembre 2021, in occasione del Reggio Film Festival, le classi del multimediale (3E, 3G, 4E, 4G, 5G, 5E) del Liceo artistico G. Chierici di Reggio Emilia sono state invitate a redigere una recensione sul corto che più li ha colpiti. Abbiamo il piacere di condividere con voi una selezione delle migliori recensioni che i ragazzi tra i 15 e i 18 anni hanno scritto, mettendo in gioco la loro sensibilità, il loro sguardo e la loro capacità di analisi sulla contemporaneità.

Il cortometraggio mi è sembrato molto leggero da vedere, nonostante la lunga durata. È una fiction, ma in alcune parti può risultare anche una commedia poiché Archibald viene preso un po’ in giro dal regista, ma le battute non sono comunque esagerate. L’idea è abbastanza particolare, con degli elementi di fantasia, ma in ogni caso molto vicina alla realtà. La storia mi fa sentire il dispiacere nei confronti del protagonista per la sua solitudine, ma il finale, assolutamente, mi trasmette gioia. Infatti, è stata la scena che mi ha colpito di più. A riguardo del linguaggio tecnico posso affermare che ha un’ottima qualità, i colori mi sembrano selezionati con precisione, c’è una vasta diversità fra le scene e i luoghi di ripresa. Posso sicuramente dire che consiglio di guardare questo cortometraggio e che, molto probabilmente, non vi deluderà.

Aleksandra Grek (3E)

Questo cortometraggio mi è molto piaciuto, non solo per la storia, ma anche per lo scorrimento veloce e fluido delle scene. Una delle scene che mi ha particolarmente colpito è quella in cui Indiana accusa Archibald di essere esattamente come tutti gli altri, e lo sprona a lasciarsi andare.

Archibald, da subito, mi suscita compassione e tenerezza per la sua situazione; durante il corso della narrazione, però, comprendo che è un uomo coraggioso, ma che ha solo bisogno di qualcuno al suo fianco. Indiana invece mi fa ridere per la sua strafottenza, si nota che è impavida e coraggiosa, sin dall’inizio ha tutta la mia stima e simpatia.

Le battute usate nel finale, e le inquadrature scelte, lo rendono un finale giusto ed equilibrato con la storia. Anche se non proprio in queste modalità, migliori di quelle previste, è un finale che mi aspettavo e che approvo pienamente.

Trovo davvero forte e bello il messaggio, mi è piaciuto molto come Jade Henot ha interpretato Indiana, poiché mi ritrovo molto nella filosofia del personaggio.

Film super approvato, lo consiglio vivamente a chi vuole sentire il brivido della vita.

Emma Saccardi (3G)

Il cortometraggio racconta la storia di un ragazzo, Archibald, che sin da quando era bambino ha un’abilità particolare: qualsiasi movimento lui compia con braccia e mani, chi gli sta intorno fa lo stesso. Col tempo il suo raggio di influenza si è ampliato, il che lo ha portato a isolarsi da tutti e ad andare a vivere in mezzo al nulla. Nel tentativo di rubare una banca, incontra Indiana, con la quale dapprima il legame sarà conflittuale, per poi diventare di totale complicità. Il corto è un elogio all’amore e di come riesca ad abbattere le barriere. Dall’inizio si è subito catturati da un’atmosfera tarantiniana, dalle scritte gialle in apertura, alla musica che ricorda quella di Pulp Fiction, al personaggio di Indiana che vediamo prima di quello del protagonista stesso. Lei appare subito come una donna di carattere, sbarazzina e vivace. Al contrario la presentazione di Archibald è alquanto bizzarra, ma viene subito compensata da una sequenza di flashback che raccontano del suo “problema”, dall’infanzia al presente. La narrazione è fatta di efficaci movimenti di macchina e gran uso del primo piano per evidenziare l’emotività dei personaggi. Le ambientazioni ricordano sempre quelle di Tarantino. In particolare il camper disperso nel nulla fa pensare a Kill Bill: volume 2. I colori sono prevalentemente caldi e rimandano alle ambientazioni e al periodo in cui accade la storia, probabilmente estate. La sceneggiatura è ben scritta e i dialoghi sono coerenti con la storia. Personalmente ho apprezzato il cortometraggio per qualità tecnica, descrizione dei personaggi e originalità del soggetto. Il finale aperto fa pensare a un continuo della storia di Archibald e Indiana che credo possa essere ideale anche per il grande schermo.

Sofia Cernicchi (4E)

Archibald, protagonista dell’omonimo film “Le Syndrome de Archibald”, è un ragazzo, come il titolo ci lascia presagire, contraddistinto sin dalla tenera età da un “problema”.

Egli è in grado di fare ripetere qualsiasi gesto compiuto dai suoi arti, sia superiori che inferiori, a tutte le persone presenti nelle vicinanze, creando così disagio verso se stesso ed un mix di incomprensione, stupore ed imbarazzo alle persone che sono poco distanti da lui.

I medici definiscono ciò un meccanismo di difesa psicocinetico, probabilmente basato sulla poca quantità di fiducia del ragazzo negli altri.

Diventato adulto ed ormai più triste e solo che mai, decide di trasferirsi all’interno di una roulotte, lontano da ogni forma umana.

Una serie di vicende lo portano ad avvicinarsi ad una ragazza di nome Indiana, con la quale, in seguito ai soliti momenti di stupore ed imbarazzo a causa del problema di Archibald, si consoliderà una leale amicizia.

Indiana riesce a cambiare radicalmente la concezione di pensiero del ragazzo, convincendolo che il suo, più che un elemento di cui vergognarsi, andrebbe visto ed apprezzato in qualità di super-potere.

In un pomeriggio che parrebbe essere come tutti gli altri, Archibald capirà finalmente grazie ad un finale totalmente inaspettato la causa della sua sindrome e come controllarla; inizierà così una nuova vita.

Il cortometraggio è strutturato in maniera tale da riuscire a catturare lo spettatore, il susseguirsi degli eventi rende scorrevole ed avvincente la visione, suscitando curiosità ed interesse.

I dialoghi e le recitazioni sono molto efficaci, Archibald avendo trascorso la sua infanzia ed adolescenza lontano dalle persone utilizza termini “antichi”, non corrispondenti a quelli della società attuale.

Le inquadrature sono precise e struggenti, si utilizzano colori vivaci ed accesi.

Il cortometraggio appare nell’insieme omogeneo e ben comprensibile.

Per quanto concerne la mia visione interpretativa, mi sento di consigliare il film in quanto esprime in modo chiaro un concetto basato sulla fiducia: il nostro istinto ci consiglia e ci indica molto chiaramente di quali persone ci si possa immediatamente fidare.

Greta Beneventi (4E)

Le syndrome de Archibald è un cortometraggio francese del 2020 della durata di diciannove
minuti circa, prodotto dalla Bagan Films e diretto da Daniel Perez. I due principali interpreti
sono Tom Hudson e Jade Hénot.
Il protagonista di questo cortometraggio è Archibald, un uomo che ha lo strano potere di far
fare agli altri quello che lui stesso fa con le braccia. Possiede questa abilità da sempre,
rendendo difficili e spesso imbarazzanti le varie situazioni della sua vita. Un giorno decide di
rapinare una banca, essendo in difficoltà economiche e si imbatte in Indiana, una ragazza che
sta facendo un viaggio in macchina. Lui la costringe ad aiutarlo a scappare dalla polizia e ad
accompagnarlo alla sua roulotte. Lei all’inizio è spaventata da Archibald, ma lui cerca di
tranquillizzarla e va a dormire nella sua macchina. Nella notte lui disegna il volto di lei su un
cartone e Indiana è costretta a replicarlo, così capisce che lui prova qualcosa per lei. La
mattina dopo chiacchierano e lui le rivela di avere questa maledizione, perché non riesce a
fidarsi delle persone. Lei si rimette in macchina per continuare il suo viaggio e dopo poco
vede la polizia che va verso la roulotte di Archibald. Decide di andare ad aiutarlo. Quando
arriva si accorge di non dover più imitare i suoi gesti e ciò dimostra che lui si fida di lei. Così
scappano insieme per vivere la loro vita al massimo e in totale libertà.
Il tema di questo cortometraggio è il cambiamento. Il protagonista Archibald cambia nel corso
della storia e alla fine riesce a fidarsi di Indiana e quindi lei non é piú costretta a replicare
quello che fa lui con le braccia. Cosí il regista vuole dire che i rapporti costruiti sulla fiducia
cambiano le persone.
Il linguaggio cinematografico del film è molto efficace. Il montaggio è veloce e allo spettatore
non sembra che il corto duri quasi venti minuti. Le inquadrature e i movimenti di macchina
sono molto simili a quelle di Tarantino: da punti insoliti, veloci, scattanti e coinvolgenti. I colori
sono molto accesi e creano un’atmosfera calda. Quando Archibald parla della sua infanzia,
invece, diventano freddi per mostrare il distacco del protagonista con quel tempo. La trama
non è del tutto lineare perché la vita di Archibald viene ripercorsa dopo un turbolento inizio in
media res. Questo aspetto di non rispettare la sequenzialità degli eventi è anch’essa presa da
Tarantino. I dialoghi sono ben studiati e i personaggi sono coerenti per la situazione
stravagante e insolita in cui sono inseriti. La colonna sonora è calzante e genera nello
spettatore una costante curiosità. Essa accompagna ed è di forte supporto alle immagini.
Le syndrome de Archibald è un cortometraggio che incontra i miei gusti, essendo nello stile di
Tarantino. Apprezzo molto anche quelle storie che uniscono il reale con il fantastico. L’estetica
di questo film è molto curata e ciò crea un senso di armonia e equilibrio. Archibald suscita da
subito simpatia in quanto ci viene presentata la sua storia, quindi empatizziamo
immediatamente con lui e comprendiamo il disagio che gli crea il suo potere. Con Indiana non
simpatizziamo da subito. Iniziamo a farlo quando la mattina si mette a parlare con il
protagonista, anche lei si apre e lo spettatore può conoscere più aspetti della sua vita. Il finale
mi è sembrato convincente come finale per un prodotto che ne esige un altro successivo,
come il primo episodio di una serie. Non è sufficientemente convincente come finale di un
unico cortometraggio. Condivido il messaggio del film perché secondo me nella nostra
società ci vorrebbero più rapporti basati sulla fiducia. Gli attori erano giusti per i loro ruoli ed
erano molto capaci, non a caso l’attore di Archibald è anche nell’ultimo film di Wes Anderson
“The French Dispatch”.

Greta Lumetti (5E)

Troviamo che sia efficace il linguaggio cinematografico in questo cortometraggio, i movimenti della macchina da ripresa in certe inquadrature ci sembrano molto veloci e stabili facendo capire l’austerità del governo e della società.

L’uso del colore è coerente con il tema del corto, i toni freddi ma vivaci rimandano all’impassibilità del controllore.

Lisa Juna Favali, Sara Affaticato, Bertani Alberto, Mara Pellicelli, Stalunewich Milosz (3E)

L’atmosfera che riesce a trasmetterti il corto è paragonabile ad un’immersione in quegli anni, come essere in possesso di una macchina del tempo, per tornare al 1998. Per esempio le musicassette che rimandano così tanto a quel periodo, ci hanno meravigliato e trasportato in un mondo diverso, così lontano dal nostro. Quello che abbiamo provato, le incredibili sensazioni, ci portano a dire che Sintra III è un ottimo cortometraggio.

La scena che ci ha lasciato qualcosa di più è stata quella in cui il protagonista cerca di ricomporre il suo passato ormai a pezzi, attraverso le musicassette. Quel personaggio, così addolorato e con quella vena così malinconica, riesce a suscitare in noi un mix di emozioni, tra cui: nostalgia, ansia e rimpianto.

Il finale è un po’ confuso e secondo il nostro parere risulta stonato ed irrealistico, perché l’ultima scena non è appropriata e risulta banale ai fini della narrazione rispetto alla quale si stacca senza continuità.

Sara Bardelli, Francesca Sforza, Riccardo Galletti (3E)

“Sintra III è un corto spagnolo diretto da Aitor Echeverria Ivan Casajus. Il cortometraggio è uscito nel 20202 ed è prodotto da Bastian Film. I personaggi sono interpretati da: Sergi Torreccilla (protagonista), Lara Salvador, Delia Brufau e Paul Rosell.

Oscar ha perso la sua amata a causa di un incidente ed è rimasto traumatizzato. Durantew un viaggio in auto buca una gomma e nel cambiarla scopre un vecchio contenitore che contiene audiocassette. Si tratta di compilation che Elena, la sua ragazza, creava per i loro viaggi.. Decidi di riascoltare alcune di queste cassette che lo riportano nel passato.

Il prodotto nel complesso è equilibrato e ben realizzato. I dialoghi sono poco presenti ma, ma lasciano molto più spazio al linguaggio cinematografico che è il punto forte del cortometraggio.

I colori e il ritmo delle scene sono in perfetta armonia con le emozioni che suscita.

La fotografia è pulita e dà importanza al paesaggio, all’ambiente circostante. Quest’ultimo descrive coerentemente lo stato d’animo del protagonista: l’andamento sinuoso della strada, isolata da tutto e che “ingloba” idealmente il veicolo rosso, che è il mezzo conduttore per tutti i dodici minuti del corto. Tutta la storia infatti si svolge all’interno o nei paraggi dell’auto che ha una verniciatura rossa che risalta tra i colori tenui della vegetazione circostante.

La luce è in generale abbastanza diffusa, non ci sono effetti particolari, eccetto in una scena: durante il primo flashblack i protagonisti giocano in un parco divertimenti e qui la luce la da padrone, perché esalta in modo esaustivo l’atmosfera da sogno.

La trama è assolutamente coerente con i personaggi e i movimenti di macchina sono fluidi e dolci, mantenendo lo stile drammatico.

La colonna sonora ha un forte ruolo di supporto: i brani proposti sono le canzoni che il protagonista stesso riproduce nella radio dell’auto. Questi pezzi suscitano forti emozioni ad Oscar perché gli ricordano momenti felici passati con la fidanzata.

Di conseguenza anche lo spettatore si emoziona immedesimandosi nel personaggio.

La storia ha diverse interpretazioni e le principali sono due: la prima è la più fantastica e irreale.

Il protagonista, attraverso i sogni nel passato, riesce a riportare in vita Elena, anche se fino all’ultimo le speranze erano basse.

La seconda idea è più realistica e drammatica. I sogni che Oscar ha durante il viaggio non sono fatti realmente accaduti, ma sono immagini che la sua mente crea a causa del suo legame con lei e della sua preoccupazione di perderla, forse conseguente ad un trauma perché questa è l’ipotesi più accreditata.

Dà importanza al messaggio romantico che viene introdotto dal finale, che trovo originale e convincente, anche se è un finale aperto che porta lo spettatore a riflettere su possibili sensi.

Mi ritrovo molto con il contenuto ed il messaggio del film, perché capisco cosa vuol dire amare una persona a tal punto da pensare inconsciamente a quello che potrebbe succedere, arrivando anche a pensare alla perdita totale.

Il film è diretto, fa emozionare, utilizza molto il linguaggio visivo e la recitazione ansiogena e angosciosa del protagonista.

Edoardo Cioce (4G)

Sintra III è un cortometraggio drammatico del 2020 del regista spagnolo Aitor Echeverrí, prodotto da Arturo Méndiz. La durata è di 12 minuti e gli interpreti principali sono Sergi Torrecilla e Lara Salvador.

La storia è quella di Oscar che, rimasto traumatizzato dalla morte della sua ragazza, Elena, durante un viaggio in macchina ha un incidente e, nel cambiare la ruota di scorta, scopre una vecchia scatola piena di musicassette. Si tratta di compilation che Elena era solita creare per i loro viaggi. Oscar decide di continuare a guidare ascoltando quelle canzoni, che lo trasportano nel felice passato in cui Elena era ancora con lui.

Il messaggio di Méndiz è chiaro: l’unico modo per non abbandonarsi al dolore di una perdita tanto grande quanto quella di Oscar, è proteggere il legame con ciò che si è perso per far sì che, almeno nella memoria, non svanisca mai. È proprio il sollievo del ricordo a dare la forza per andare avanti.

Il linguaggio cinematografico è decisamente coerente ed espressivo: in particolare la scelta delle inquadrature, l’uso della luce e del colore sono in grado di rappresentare i vari stati d’animo e le condizioni psicologiche del protagonista in modo delicato ma ugualmente intenso e d’impatto.

La sceneggiatura è forse il punto debole della pellicola. Lo sviluppo della storia, infatti, è poco chiaro, soprattutto dal punto di vista dei salti temporali: l’alternarsi dei momenti passati e presenti non risulta immediato e naturale da seguire, creando così confusione nello spettatore riguardo alla realtà dei fatti accaduti.

Al contrario i personaggi, in particolare il protagonista, sono coerenti, ben caratterizzati e soprattutto ben interpretati: l’espressività di Sergi Torrecilla rende Oscar un personaggio completo e con cui è facile empatizzare.

Molto interessante è il ruolo delle cassette e della musica in generale. Questa, infatti, non funge solo da accompagnamento o sottofondo, ma è parte integrante della narrazione e interagisce direttamente con essa. Anche l’utilizzo del sound design contribuisce ad arricchire il corto, specialmente quando unito all’alternanza tra la musica e momenti di silenzio.

Complessivamente ho apprezzato questa produzione, che è stata in grado di emozionarmi e farmi immedesimare nella storia anche grazie alle scelte stilistiche e di linguaggio.

Giulia Giannoccolo (5G)

Il video inizia con un flashback in cui Oscar, il protagonista, perde la sua fidanzata Elena in un incidente. Durante un viaggio in macchina, scoprirà attraverso una scissione spazio temporale un metodo per evitare la tragica morte.

Questo cortometraggio rimanda ai film di Tarantino per la fotografia, il font e il colore utilizzato per i titoli di testa e coda.

Il regista riesce a farci capire se si trova nel passato con l’uso di colori più vividi che simboleggiano la spensieratezza e la leggerezza con cui egli vive gli anni della sua giovinezza con la sua fidanzata Elena, mentre utilizza una luce che risulta più naturale per farci capire che ci troviamo nel presente, nella realtà quotidiana.

La colonna sonora “I Only Want To Be With You” di Dusty Springfield del 1966 rispecchia le vibes vintage che il regista ci vuole dare e si sposa molto bene con l’utilizzo dei costumi e delle scenografie che rimandano all’epoca.

L’idea non risulta molto originale, in quanto i viaggi temporali sono molto utilizzati nei film, ma la recitazione di entrambi i personaggi, soprattutto di Oscar riesce a rendere la drammaticità di un personaggio frustrato che non è riuscito a vincere le sorti del destino per salvare la sua fidanzata.

Il montaggio che alterna scene e la fotografia rendono il cortometraggio più innovativo e drammatico e permette allo spettatore di immedesimarsi in quello che sta guardando.

Il messaggio che l’autore vuole dare riprende la concezione umana del dolore, che provoca così tanta confusione da arrivare a pensare di cambiare il passato per un futuro diverso, pur di non soffrire.

Il cortometraggio mi è piaciuto molto ed ho apprezzato l’unione di vecchio e moderno, con un pizzico di fantasy che non ho trovato per niente scontato.

Giusy Tangorra (5G)

Il linguaggio con cui questa storia è stata veicolata è molto efficace: la narrazione non risulta lenta ma
semplicemente introspettiva e riflessiva, (;)la sceneggiatura è scritta in modo che la storia permetta
ampie interpretazioni, ma non diventi confusionaria o incomprensibile.
L’utilizzo ripetuto di dettagli e primi piani permettono di entrare a pieno nella psicologia del
protagonista e le inquadrature sono perlopiù fisse in modo da rendere la narrazione sospesa e tesa.
Molto importante è l’uso della luce e del colore, che caratterizzano l’ambientazione: attraverso la
color correction e l’ambientazione sono riusciti a dare l’idea dei due piani temporali, ovvero il
presente del viaggio in macchina ed il passato della loro relazione.
I dialoghi sono pochi perché tutto è veicolato attraverso le immagini o i gesti dei personaggi, ma
quelli presenti sono concisi, puntuali e danno informazioni che permettono allo spettatore di capire a
pieno la trama del cortometraggio. I personaggi sono caratterizzati molto bene specialmente nella loro
sfera psicologica e danno coerenza alla trama.
La colonna sonora è un elemento portante della trama: sono le canzoni che danno il via alla narrazione
e supportano le immagini. Essendo brani già noti, essi rimangono in testa anche dopo la visione e lo
spettatore entra subito in sintonia con essi.

Padovan (5E)

Il linguaggio cinematografico è efficace, le inquadrature non sono delle più ricercate, ma sono
abbastanza dinamiche, inoltre ambientazione, costumi e colori sembrano riportare indietro nel tempo
lo spettatore agli anni 70.
I personaggi riescono ad essere ben caratterizzati nonostante la breve durata del corto, la ragazza è
ben descritta sia dallo stile che dall’idealizzazione che ha lui di lei e che vediamo nei flashback.
Il personaggio del ragazzo sembra essere scritto in modo quasi apatico, ma è ben interpretato
dall’attore.
Ho in particolare apprezzato la scena in cui la ragazza torna per la prima volta di fianco a lui ricreando
il flashback della prima canzone, si legge negli occhi del protagonista un’emozione e uno stupore
enormi, un forte desiderio di riaverla che, però, svanisce poco dopo.
I dialoghi sono quasi inesistenti, ma ciò non rende il corto noioso, al contrario fa appassionare lo
spettatore alla storia senza il bisogno delle parole.
Al posto delle parole, qui parla la musica, che ho trovato molto adeguata. La felicità di alcune canzoni
contrasta con la tristezza dei ricordi legati ad esse e ci permette di rivivere alcune sensazioni insieme
al protagonista, percependo il suo dolore e la sua malinconia.
Il finale è ciò che dà un senso al corto, è sicuramente convincente e non lascia nulla in sospeso, ma
nonostante questo io avrei probabilmente preferito lasciarlo all’immaginazione, far rimanere quindi lo
spettatore con un senso di dubbio, ma anche di speranza.
In generale ho gradito molto questo cortometraggio, che ho votato come migliore tra gli 11 visti, mi è
riuscito a trasmettere numerose emozioni diverse in soli 12 minuti, un senso di allegria iniziale che si
rompe con la morte di lei.
La malinconia vissuta da lui l’ho percepita per tutta la durata della visione, insieme a un senso di
speranza e dolore, sul finale mi sono rallegrata e, nonostante mi abbia lasciato l’amaro del lieto fine
non dovuto, ho provato gioia per i due protagonisti.
È un corto piacevole da vedere e che sicuramente consiglierei, tuttavia non saprei di preciso il
messaggio che il regista vorrebbe comunicare. Non trovo una morale in ciò che ho visto, ma solo
molta poesia.
Mi sono rispecchiata nel protagonista perché amo rivivere le esperienze, belle o brutte che siano,
attraverso le canzoni, e chiunque vorrebbe poter tornare a certi momenti semplicemente ascoltandole,
quindi guardare questo cortometraggio è un po’ come vivere un proprio sogno irrealizzabile.

Alessandra Li Volti (5E)

Intolerance è un cortometraggio Italiano, uscito nel 2020 diretto da Giuliano Giacomelli e Lorenzo Giovenga, preso spunto dal film del 1916 di David Wark Griffith. Gli interpreti sono Marco Marchese, Marial Bajma Riva, Carmelo Fresta e Luca di Giovanni. Un senzatetto sordo-muto vaga per le strade della città quando ad un certo punto, in una notte tempestosa, scorge una ragazza che sta per essere violentata da un malvivente, l’uomo la salva e la porta al sicuro ma ben presto scoprirà che la donna non è un’umana qualunque. Ritengo che il regista abbia voluto comunicare un messaggio di reciprocità civile, tutti sono uguali ma allo stesso tempo diversi, sebbene non si hanno le stesse caratteristiche fisiche e psicologiche non significa che una persona è più importante di un’altra, in più non si deve superficializzare e giudicare dall’aspetto esteriore ma bensì quello interiore perchè è il fattore che fa capire e conoscere veramente le persone che ci circondano. Le inquadrature e i movimenti di macchina sono lineari, dinamiche e scorrevoli, i colori in bianco nero e gli effetti di luce mostrano un equilibrio armonioso che rendono le scene inquiete e piene di suspense contribuendo anche la psicologia dei personaggi e il significato dei loro comportamenti. La sceneggiatura è importante perché ci fa capire come comunicano i personaggi attraverso il linguaggio dei segni, gli attori hanno un’interpretazione perfetta riuscendo a far suscitare agli spettatori una sorta di immedesimazione e commozione. le colonne sonore sono fattori principali per il cortometraggio poiché non contiene dialoghi, tutto si basa sui suoni che danno significati e valori alle scene, certi di essi hanno concetti diversi, alcuni sono spiacevoli altri spiccano meraviglia. Questo cortometraggio lo trovo eccezionale, la storia e i colpi di scena mi hanno affascinato, principalmente per il finale, mi è sembrato molto convincente e ritengo pienamente che sia la parte più interessante e importante. I personaggi mi hanno suscitato simpatia, dolcezza e affetto soprattutto il protagonista, è il personaggio che mi ha colpito di più, perchè mi ha fatto riflettere sulle sue decisioni e azioni. Per chi ama questi tipi di cortometraggi consiglio altamente di guardarlo è gradevole sia visivamente sia per il messaggio che vuole trasmettere.

Alessia Peluso (3G)

Catapultati in una metropoli, vige il silenzio dal punto di vista del protagonista, un vagabondo, vengono mostrate varie scene della sua quotidianità, molto difficile rispetto a quella di tutti gli altri, avendo un handicap ovvero la sordità.

Una persona dall’animo buono, chiede varie volte da dei piccoli gesti un aiuto dagli altri, ma tutti sembrano non interessarsi a dargli una mano, evitandolo o addirittura rimproverandolo.

Un giorno gli accadde un episodio, vide una ragazza che stava subendo una violenza fisica,lui riuscì a fermare l’aggressore, la ragazza sentendosi in debito con il senzatetto, vuole promettergli qualcosa e da lì la vita del vagabondo cambiò radicalmente.

Un eccellente fotografia, l’uso del bianco e nero è appropiato, facendo concentare lo spettatore sul significato del corto, senza possibili distrazioni date anche dal colore, e dando un importanza totale a ciò osserviamo.

In questo corto l’ascoltatore si immerge nel protagonista, comprendendo come ci si possa sentire ad essere una persona sordomuta.

Ogni tanto vengono inseriti dei rumori circostanti, dando un ottimo contrasto alle scene.

Consiglio la visione a chiunque, fa rendere conto che anche se una persona può essere affetta da un handicap, in realtà ha molto di più da offrire a livello umano rispetto a chi invece non lo ha.

Francesca Accardo (3G)

Il karma di un senzatetto.

Il cortometraggio di Giacomelli e Giovenga racconta la giornata di un senzatetto sordomuto; la vicenda viene presentata tramite raccordi di suono distorti, che rendono la vita del protagonista a 360°.

La giornata che viene raccontata è forse per il vagabondo un po’ insolita, perché dopo aver vagato per la città, trovato una sigaretta per terra, aver elemosinato qualche spicciolo e una pizza dal solito brav’uomo, al solito angolo dove era solito dormire, accade qualcosa di strano.

Lui che era sempre stato distaccato e indifferente nei confronti della società, decide di fare qualcosa che cambierà un po’ la vita a tutti.

Sono presenti svariati raccordi sull’asse, che rendono visivamente più chiaro e d’impatto il cortometraggio., l’uso del bianco bianco e nero rende ancora più forti le emozioni che esso trasmette, tutte le scene hanno qualcosa di particolare, lo spettatore è reso partecipe della vicenda; gli occhi dell’attore Marco Marchese, che interpreta il vagabondo, sono intensi di vissuto e di emozioni, Marial Bajma Riva è resa quasi spettrale, i suoi occhi sono quasi vuoti.
I suoni sono essenziali per immedesimarsi nel protagonista e le musiche inedite sono adeguate al contesto del corto.

Il cortometraggio è emozionante, trasmette la crudità del mondo nel modo più disgustoso e viscido che esista, ma lascia esprimere anche la bontà di esso, tramite un forte gesto di altruismo e carità.

Per dare un ultimo giudizio personale, consiglio la visione di “INTOLERANCE”, personalmente l’ho apprezzato molto, la cosa che mi ha colpito di più, è la trama in particolare, trovo molto bella la scrittura di questo film, che con Marco Marchese e Marial Bajma Riva si completa in un’ottima opera d’arte.

Giada Santi (5G)

Intolerance è un cortometraggio italiano del 2020, scritto e diretto da Giuliano
Giacomelli e Lorenzo Giovenga, interpretato da Marco Marchese, Marial Bajma
Riva, Carmelo Fresta e Luca di Giovanni.
In una città urbanizzata si fa strada un senzatetto, emarginato e sordomuto; mentre
cerca un ripostiglio per la notte, si imbatte in una tentata aggressione, che riesce a
farmare.
La vittima, una ragazza anch’essa sordomuta e dotata di poteri magici, vuole
sdebitarsi con il suo salvatore, esaudendo ogni suo tipo di richiesta.
Il corto, interamente in bianco e nero, si apre con una buona rappresentazione
dell’ambiente urbano, le varie scene sono legate tra loro dai suoni “ovattati” della
città che accentuano l’emotività del protagonista, facendoci empatizzare con lo
stesso.
La regia, l’audio e soprattutto la fotografia sono ben curati e combaciano
perfettamente tra di loro nel ricreare l’atmosfera tetra e decadente dei quartieri
malfamati cittadini.
Il cortometraggio vuole infondere il messaggio che non tutte le persone sono come
sembrano, ciò sarebbe stato possibile anche senza l’ausilio degli effetti speciali, quali
le ali da angelo, o falena, in quanto assomigliano più a quelle di un insetto notturno,
che, per quanto sobri, vanno a staccare completamente l’atmosfera creatasi nel video.
Questo cambio repentino di genere, dal drammatico thriller, quasi tendente al noir,
al fantasy sentimentale, divide gli spettatori in due categorie: chi rimane estasiato
dalle ali di falena, e chi invece si ritrova a scrivere una recensione non così positiva su
Intolerance.

Anita Rompianesi (5E)

Devise sono riusciti con estremo successo a trattare i due argomenti più discussi e dibattuti degli ultimi anni ossia il cambiamento climatico ed il problema dei migranti.

“Migrants” parla di due orsi polari che, dato il sempre più frequente scioglimento dei ghiacci causato dal riscaldamento globale, sono costretti ad andarsene dal loro ambiente autoctono. Lungo il loro viaggio incontreranno degli orsi bruni che gli faranno capire di non essere i benvenuti. I punti forti del film sono senza alcun dubbio i riferimenti alla società odierna, difatti il riscaldamento globale e da anni che ci perseguita senza sosta soprattutto per merito dell’uomo che da da un’esagerazione di tempo continua nella generazione di energia per mezzo di combustibili fossili, altro grande riferimento sono gli svariati problemi venutisi a creare proprio per lo spostamento via mare dei migranti. Per mezzo del film noi riusciamo quasi ad immedesimarci in quelle povere persone, che dovendo scappare da guerre e carestie cercano riparo in luoghi dove purtroppo vengono disprezzate e a volte anche cacciate. La tecnica 3D è davvero molto pulita e lineare. Oltre ciò anche la realizzazione del peluche è ottimale dato che sembra davvero lavorato a maglia.

Se ti piacciono i cortometraggi d’animazione non visti e rivisti e con un significato introspettivo, sicuramente sono certo di poterti consigliare questo tipo di corto.

Al contrario se non ti piacciono queste tipologie di corti mi sento di sconsigliarlo. Se i cortometraggi in 3D non fanno per te forse dovresti cercare altrove.

Manuel S. (3G)

Una mamma orso polare e il suo cucciolo sono costretti ad abbandonare la propria terra e si ritrovano, loro malgrado, in un’altro luogo. Dovranno cercare di convivere con gli orsi bruni e, nonostante siano della stessa specie, saranno costretti ad affrontare delle difficoltà.
Il regista ha esposto con semplicità ed efficacia due temi molto complessi; il riscaldamento globale e gli sbarchi dei migranti.
Lo scioglimento dei ghiacci sta cambiando la vita di tutti gli esseri viventi e di conseguenza li obbliga ad abbandonare la propria terra per cercare un luogo dove poter sopravvivere.
Inoltre tratta il tema dei migranti che vede contrapporsi due aspetti diversi: la sopravvivenza e la paura dell’orso bruno nell’accettare l’orso bianco, quindi la diversità.
Il regista gioca anche su questo aspetto, rendendo l’orso bianco soggetto di discriminazione da parte dell’orso bruno.
Una scelta molto importante della regia è stata quella di rappresentare gli orsi sotto forma di peluche con cuciture e pezze, rendendo il corto quasi come un cartone animato.
Questa scelta stilistica permette allo spettatore di guardare il corto con leggerezza ma allo stesso tempo rende più efficace la comprensione dei temi trattati.
Le inquadrature sono efficaci e riescono a trasmettere le emozioni provate dai due orsi polari e i colori sono adatti allo stato d’animo che le scene vogliono trasmettere. I toni freddi prevalgono nelle scene di maggior sofferenza mentre quelli caldi nelle scene di quiete.
La narrazione è lineare e piena di colpi di scena.
Non sono presenti dialoghi, in quanto i protagonisti sono due orsi polari, ma sono presenti moltissimi effetti sonori e musiche, tutti scelti con grande attenzione in ogni parte del cortometraggio.
I personaggi principali sono ben strutturati, il piccolo orso è dolce e ingenuo, proprio come i bambini, e la madre è premurosa e protettiva come tutte le madri verso i propri piccoli.
Personalmente ho trovato il corto molto interessante e diretto nei temi affrontati.
Trasmette molti sentimenti contrastanti, il piccolo e la madre trasmettono dolcezza e compassione, mentre gli orsi bruni trasmettono potenza e paura.
Avrei preferito un altro finale ma realisticamente non credo ci siano modi migliori per raccontare questa dura realtà.
Una realtà su cui tutti dovremmo ragionare e prendere coscienza.

Giulia Bonelli (4G)

Il colore conta anche per gli animali.

Nel cortometraggio d’animazione francese “Migrants” vediamo come protagonisti due orsi polari, il cucciolo e la madre.

I due, dato l’incidente causato dal cambiamento climatico, si ritrovano naufraghi su una spiaggia della terraferma, abitata sempre da orsi, ma con caratteristiche diverse.

Durante la durata del corto seguiremo i due orsi nella loro avventura con inquadrature dall’alto, campi totali e primi piani per renderci partecipi della spensieratezza nella scoperta della nuova terra e allo stesso tempo del dolore e dell’inadeguatezza che si prova ad essere diversi.

Il corto è una metafora che mostra un diverso punto di vista di eventi attuali portati dal pensiero capitalistico e dalla proprietà privata, infatti i due protagonisti si ritrovano su quella terra, anche se non è la loro intenzione, e non vengono accettati come “cittadini del mondo”.

Questa metafora è però mascherata in modo simpatico da un mondo rappresentato fantasticamente con animali di pezza e ghiaccio fatto di polistirolo.

L’animazione poco fluida non infastidisce e riesce comunque a rendere la pesantezza dei corpi. Le articolazioni e i movimenti dei personaggi sono ben gestiti dando l’impressione che i due pupazzi siano effettivamente orsi reali.

Per quanto i personaggi siano stilizzati l’espressione facciale è percepibile in modo talmente chiaro attraverso bocca, occhi e orecchie da trasmetterci le emozioni provate dai due protagonisti, il tutto accompagnato da una colonna sonora azzeccata che facilita le immagini.

Per quanto mi riguarda questo corto è molto attuale e anche dal punto di vista tecnico mi è piaciuto e penso che sia adatto come cortometraggio di sensibilizzazione. Potrebbe ad esempio colpire un ampio pubblico come i bambini.

Il finale di pochissimi secondi l’avrei arricchito per rendere più esplicito il messaggio.

Rupert Ricchetti (5G)

A mio avviso, Migrants è il risultato di un ottimo lavoro da parte dei registi francesi Hugo
Caby e Zoe Devisè, all’esordio dietro la cinepresa, al loro fianco, Antoine Dupriez compie il
ruolo di supervisore alla regia.
La storia mi ha toccato profondamente per via dei suoi temi profondi, come il riscaldamento
globale e l’immigrazione, entrambe raccontati attraverso l’intreccio dell’esperienza degli orsi
polari senzatetto, che si ritrovano oggetto di scherno e scherno quando raggiungono una
nuova terra popolata da ostili orsi bruni.
Gli effetti speciali sono davvero ottimi come anche la regia, la fotografia è altrettanto curata.
La sceneggiatura è stata curata dallo scrittore Lucas Lermytte, che è stato a mio avviso
molto bravo a realizzare una sceneggiatura, che, nonostante non preveda alcuna battuta o
dialogo, è ugualmente ben scritta e racconta una storia che segue un buon filo narrativo ed
emotivo. Inoltre è in grado di fare provare forti emozioni e di coinvolgere a pieno lo
spettatore in ciò che sta vedendo.
Questo film corto francese ha raggiunto ottimi risultati e recensioni in giro per tutto il mondo.
Non sono dà meno tutti i premi che ha ricevuto, è stato anche nominato il miglior
cortometraggio del VIEW Fest, il festival di cortometraggi sponsorizzato dal VIEW
Conferenza a Torino, Italia.
A livello internazionale il sito aggregatore Internet Movie Database (IMDb) il film ha una
valutazione media di 7.8 su 10, diventando uno dei cortometraggi d’animazione più
apprezzati del 2020.

Lorenzo Neri (5E)

Se la ventesima edizione di Reggio Film Festival prevede come tema principale di ogni corto il tema “changes”, Rebooted di Shanks lo ha lodevolmente rispettato, portando sul grande schermo un elemento molto caro a qualunque persona del settore: gli effetti speciali.

Il corto racconta la storia di un mostro, di uno scheletro. Nato dalle mani pazienti e attente di un artigiano scenico degli anni ‘50, il protagonista riceve grande successo grazie al film 10.000 sandals dove “recita” e interpreta il cattivo. Gli anni però passano e il cinema si adatta alle nuove scoperte tecnologiche, anche in campo scenico: durante i provini lo scheletro di ferro e cartapesta non riesce più a fare paura. La nostalgia dei tempi passati lascia però posto alla rabbia nei confronti dei moderni effetti speciali computerizzati quando la vecchia star scopre che stanno girando un rifacimento (da qui il titolo “rebooted”) del suo film più famoso, 10.000 sandals. Come reagirà il protagonista?

È evidente che l’elemento universale e comunitario “changes” in questo breve film è arrivato sotto forma di denuncia agli effetti speciali digitali da parte di quelli classici e “manuali”. Ecco quindi che durante i dodici minuti, allo scheletro di ferro e cartapesta vediamo affiancare e prendere vita un dinosauro robotico, il disegno animato di un draghetto, costumi di scena come il mostro della palude, e una figura “fluida”, il primo effetto speciale digitale della storia.

Shank sceglie di utilizzare un linguaggio privo di dialogo preferendo invece le gestualità e la mimica visiva dei vari personaggi. Si tratta di una scelta apprezzabile per due ragioni fondamentali: evita il dover eseguire successivi doppiaggi e rende il concetto del messaggio riconoscibile e universale, subito d’impatto. Concordi a mantenere l’attenzione dello spettatore sono anche i numerosi momenti goliardici e i riferimenti ai film cult: è impossibile non aver notato il riferimento a Jurassic Park.

Il linguaggio tecnico invece presenta virtuosismi di rilevanza, come nel piano sequenza all’interno del cinema o il leggero vertigo quando il protagonista scopre il rifacimento del film. Nel complesso, è da evidenziare che ogni ripresa è ben curata e concorde nel rendere al meglio la scena, a compiacerne ed esaltarne il ritmo, e a sottolinearne gli aspetti fondamentali.

Come sono attente e particolari le riprese, così lo sono anche i suoni di scena che accompagnano ed esaltano ogni piccolo sussulto e leggera sfaccettatura del protagonista e dei suoi amici.

Ho trovato questo corto come un piccolo gioiello che tramite riprese, suoni, mimiche e gesta dimostra di essersi preso cura dell’ideazione del prodotto esattamente come un artigiano si sarebbe preso cura di una sua creazione di cartapesta, prestando attenzione a ogni sua piccola sfaccettatura e dettaglio, non dando per scontato nulla.

La trama è divertente, rispetta le varie tappe fondamentali e al pubblico appare veloce e dinamica. Il concetto di denuncia viene esaltato in maniera leggera, ironica e soprattutto empatica: non c’è una maniera giusta e una maniera cattiva di fare le cose, esattamente come non ci sono gli effetti speciali buoni e quelli cattivi. Il cambiamento del tempo è l’unico fattore veramente discriminante.

Lo scheletro nel finale riesce a capire quale sia il suo valore e trovo che non poteva esserci finale migliore e più rappresentativo dell’intera faccenda.

Gaia Buggemi (4E)

Michael Shanks ci porta un altro fantastico cortometraggio: Rebooted.

Rebooted parla di uno scheletro di nome Phil animato in stop motion.

Lo scheletro era un tempo un grande attore, ma con la nascita di nuove tecniche cinematografiche nel campo degli effetti speciali non riesce più a trovare un lavoro.

Un giorno, per puro caso, scopre che stanno per fare il remake di uno dei suoi film senza di lui e decide di prendere misure drastiche.

Il cortometraggio risulta essere molto originale soprattutto per l’idea di base, e presenta al suo interno moltissimi rimandi ad altri film di cultura generale, come ad esempio “Jurassic Park” di Steven Spielberg, “Terminator”, “Gli Argonauti” e molti altri.

Shanks, con questo corto, vuole affrontare il tema delle nuove tecnologie che rimpiazzano completamente quelle vecchie usando un linguaggio comico.

Parto subito col dire che Rebooted mi è piaciuto moltissimo.

Il film presenta un bel concept, un personaggio principale formidabile e una colonna sonora consona.

Una cosa che mi ha colpito molto del cortometraggio è l’uso delle animazioni.

Infatti, Rebooted, presenta tantissime tecniche di animazione che vanno dal semplice disegno ai primi VFX degli anni 80’.

Inoltre la presenza di più tecniche all’interno della stessa inquadratura creano composizioni con una estetica unica nel suo genere.

L’unica cosa che posso criticare di questo film è il finale.

Infatti nella storia non si riesce mai a trovare una vera e propria soluzione per lo sfortunato Phil e siamo lasciati con un punto interrogativo.

Tutto sommato vale la pena la visione di questo film e consiglio a tutti di metterlo in cima alla propria lista di film da vedere.

Filippo Ovi (4E)

Rebooted unisce una storia semplice ma coinvolgente con un’accurata animazione che vede come protagonista un simpatico scheletro. Un tempo era una star del cinema, ma ora non fa più paura e viene rifiutato ad ogni provino, infatti non è incluso nel cast del reboot del suo film più famoso, avvenimento che lo spinge ad ideare un piano. Il corto presenta una fotografia molto buona e, considerando che aggiungere dei personaggi animati a riprese “reali” non è affatto semplice, la luce ed i colori sono eccellenti. Sono presenti inoltre interessanti inquadrature e movimenti di macchina, mentre il ritmo è variabile. In generale infatti Rebooted è avvincente, ma vi sono alcuni momenti che appaiono più lenti e ripetitivi, il che è un peccato viste le divertenti trovate all’interno del corto. Inparticolare sono anche riconoscibili diverse citazioni, che vengono usate in modo creativo ed inerente alla storia. E’ notevole la bravura nell’ideazione di una storia in cui sono fondamentalmente assenti i dialoghi, per questo la colonna sonora è ancora più importante e particolarmente azzeccata. La trama è ben chiara, il finale non è estremamente originale ma è plausibile relativamente alla caratterizzazione del protagonista, che è l’unico personaggio di cui è approfondita la personalità. Nonostante sia uno scheletro infatti egli è molto realistico, sia nei comportamenti che negli atteggiamenti e nell’espressività. Lo spettatore prova simpatia verso di lui e se ne affeziona quasi sul finale. Per quanto riguarda il tema del festival, in Rebooted il cambiamento è presente, ma non ne è un elemento essenziale, ed il messaggio del corto non è particolarmente profondo come in altri, poiché tratta di una storia semplice e divertente, a cui consegue un tono leggero. Personalmente il corto mi è piaciuto molto, in particolare per quanto riguarda l’aspetto tecnico e le diverse trovate comiche, che sono ben conciliate con la trama.

Noemi Schettino (4E)

Reboot (“Riavviato”) è un cortometraggio della durata di tredici minuti diretto dal regista
canadese Michael Shanks nel 2019 in Australia.
Si tratta di uno short film drammatico, che unisce animazione e realtà per raccontare la
storia di Phil, uno scheletro animato in stop motion che, da famosa star del cinema degli
anni Sessanta, si ritrova in difficoltà a trovare lavoro nella Hollywood moderna.
Phil prende misure drastiche quando scopre che il film per il quale è stato creato verrà
riavviato senza di lui. Essendo “Changes” (cambiamenti), il tema di quest’anno del Reggio
Film Festival, a parer mio, quello che il regista ci ha voluto mostrare è come il cinema sia
cambiato e si sia evoluto nel tempo, e come i precedenti metodi ed effetti speciali siano stati
sostituiti dai nuovi, più moderni e veloci.
Nel linguaggio cinematografico trovo le scelte del regista molto azzeccate: i personaggi sono
ben ideati, resi coerenti e interessanti, per quanto riguarda l’animazione esteticamente sono
molto realistici e ben curati, dettagliati.
Le inquadrature sono semplici e caratterizzate da una buona composizione scenica.
I colori sono tenui, ben bilanciati e utilizzati in maniera corretta, ovvero scelti e inseriti nel
modo giusto nelle scene per rendere lo spettatore il più possibile coinvolto ed empatico nei
confronti dello scheletro. Le colonne sonore sono adatte e rispecchiano l’animo e la storia
del protagonista. Perfetti sono anche gli effetti sonori, i personaggi non dialogano mai, o
almeno, lo fanno ma senza parlare. Nonostante l’assenza di dialoghi, il film non risulta
noioso grazie al continuo alternarsi di inquadrature, quello spirito un po’ comico che a volte
ritroviamo nel film e alla novità dell’unione tra realtà e animazione che catturano l’attenzione
di chi guarda. Per quanto riguarda il montaggio, è ben strutturato e comprensibile.
Premio questo cortometraggio soprattutto per l’originalità, la grande inventiva del regista e
per il tema che ha portato. L’ho trovato alternativo, interessante, riflessivo e comico.
Il messaggio è coerente con il film, è bello e vero. Ne consiglio la visione a tutti quanti,
grandi e piccoli, perché è uno spettacolo diverso dal solito, simpatico, ma che mette a
confronto la stessa realtà in periodi diversi.

Rebecca Mellone (4G)

Ho trovato il cortometraggio molto emozionante perché è riuscito a farmi riflettere su un tema comune a chiunque, ovvero l’incedere del tempo.

Credo che la scena in cui si può percepire maggiormente il messaggio del film è proprio quella finale, in cui Sasha, ormai diventata anziana, sente ancora accanto la piccola sé stessa del passato che gli suggerisce cosa fare, come simbolo al fatto di non aver percepito lo scorrere del tempo perché in lei è sempre rimasta una parte gioiosa tipica dei bambini. Il personaggio e l’attrice che è riuscita a toccarmi più profondamente è appunto la piccola Sasha, che già alla sua età ha paura del passare del tempo, ma nonostante tutto non può fare niente per evitarlo, se non godersi ogni singolo istante più che può.

Federica Benevelli (4G)

Story è un cortometraggio d’animazione polacco scritto da Jola Bankowska, e prodotto da
Munka Studio e realizzato tramite l’illustrazione 2D computerizzata.
Il breve filmato si compone di una struttura organica e singolare che lo rendono un candidato
degno di nota al Reggio Film Festival 2021.
L’azione si apre sulla vista di due palazzi e continua presentandoci un uomo che appena
sveglio usa la sua poca lucidità per accendere lo smartphone e guardare dei video. I
contenuti che osserva, sono presentati con un punto di vista in prima persona, e danno
l’impressione di essere scene indipendenti, e non riconducibili a quella iniziale.
Ciò che guarda sono scene quotidiane imperniate su un senso di staticità e di calma che
viene presto interrotta da una rivolta tecnologica.
La storia non presenta dialoghi, rendendo così il linguaggio visivo e il protagonista. Questa
scelta non intacca la comprensibilità del corto definita tramite un’atmosfera pop che si
compone di volumi geometrici e palette di colori freddi a tinta unita. E’ proprio l’estetica il
punto di forza del filmato che regala un immaginario consistente alla trama, che chiarisce e
sottolinea una critica al mondo del consumismo e dell’estrema digitalizzazione. Mettendoci
in guardia dalla pericolosità dei social network, e ci spiega come riescano a donarci un
apparente senso di tranquillità portandoci però a estraniarci dalla realtà che ci circonda, e di
come l’abuso della tecnologia sia il fattore di una decadenza sociale da non sottovalutare.

Milo Spaggiari (4G)

Il corto propone una riflessione sull’uomo moderno in un’epoca in cui la tecnologia è presente in ogni attimo della vita quotidiana.

Guardando le stories – una funzione popolare in molte piattaforme di social media – vediamo persone che sono sole, perse o già indifferenti alla realtà che le circonda.

La regista, tramite questo cortometraggio, ha voluto evidenziare la dipendenza degli esseri umani dai social, che sentono il bisogno di mostrarsi in un modo che nella maggior parte dei casi non rispecchia la realtà.

Il linguaggio cinematografico risulta efficace: il corto è stato interamente disegnato, e il risultato è un’animazione a colori molto originale nel suo insieme.

Le tonalità utilizzate sono quelle del bianco, nero e blu principalmente, mentre per evidenziare i dettagli più significativi vengono scelti colori accesi come il rosso.

La sceneggiatura non contiene dialoghi ed è dotata di un grande significato a livello sociale: le storie che si riprendono nel corso del corto sono coerenti tra loro, e sottolineano tutte quante il problema dell’eccessivo uso della tecnologia nella vita dei personaggi. Anche la colonna sonora ha un ruolo fondamentale, poichè il corto è dotato di musica di sottofondo per le storie, che però vengono interrotte di tanto in tanto dal rumore della suoneria del telefono del protagonista.

Il corto colpisce, perché nonostante usi un linguaggio semplice da comprendere come quello dei cartoni animati, tratta tematiche molto attuali e importanti.

La scena che stupisce maggiormente è quella degli uomini sulla metropolitana, inizialmente concentrati ognuno sul proprio dispositivo, tanto da non accorgersi che la testa di uno di loro sta andando a fuoco. Quando però uno dei tanti se ne accorge, invece di aiutarlo si scatta un selfie con lui, così come faranno tutte le persone che lo vedranno in seguito su quella metro.

Il protagonista sembra essere apatico e apparentemente privo di sentimenti.

Il finale del corto è costituito dalla stessa scena con cui esso inizia, ovvero con il protagonista a letto che sta guardando le stories degli altri sul suo telefono.

Questo effetto del cerchio che si chiude, il fatto che l’inizio e la fine siano strettamente collegati, aiuta a comprendere ancora meglio il senso della storia.

Il tema affrontato è facilmente condivisibile, poiché i problemi che affronta sono più che mai attuali in questo momento storico, e bisognerebbe continuare ad approfondirli, per non ritrovarsi in una società in cui ogni persona smette di essere ciò che realmente è solo per apparire in modo originale sui social.

Valentina Davoli (5G)